Stare bene

Psicologia e cibo quanto uno influenza l’altro

Oggi è la giornata mondiale del Fiocchetto Lilla, riguarda la sensibilizzazione dei disturbi alimentari. Psicologia e cibo quanto uno influenza l’altro?

Il legame tra psicologia e cibo è così stretto che uno influenza l’altro, anche senza volerlo. In questo articolo vediamo perché sono legati e come condizionano il nostro modo di vivere.

Cos’è il cibo se non un insieme di sensazioni che iniziano con il piacere, passano per il dovere e finiscono con il ricordo.

Perché mangiamo? Per sopravvivere ovviamente eppure il paradosso è che ingeriamo tante più cose di quelle che il nostro corpo, macchina perfetta, necessita per la crescita o la riproduzione.

Mangiamo per poi passare il tempo a pensare come bruciare calorie e ci affatichiamo per smaltire la quantità di cibo in eccesso, non ti sembra assurdo?

Quindi quando mangiamo è fame o desiderio di mangiare?

Sono due cose ben distinte la sensazione di fame e la voglia di qualcosa di sfizioso e ricorro alla scienza per spiegarti il processo.

Lo sai che abbiamo una regione dell’encefalo che riceve informazioni su quanto tessuto adiposo abbiamo accumulato. Si chiama ipotalamo, ne avrai sicuramente sentito parlare.

Al nostro cervello serve per sapersi regolare, per capire quanta energia ha bisogno per far funzionare tutto il corpo.

E’ la leptina a rivestire un ruolo chiave in questo complesso meccanismo. Si tratta di un ormone prodotto e secreto dagli adipociti; tanto maggiore è l’entità dei depositi di grasso e tanto maggiore sarà la concentrazione ematica.

La leptina raggiunge specifici recettori ipotalamici ed espleta la sua funzione riducendo la fame e stimolando la sazietà.

Prevedibilmente, i soggetti obesi mostrano tassi di leptinemia elevati contrariamente a chi è affetto da anoressia nervosa.

La ricerca scientifica degli ultimi decenni ha dimostrato che il sistema lipostatico conta un numero elevatissimo di molecole che fungono da ormoni e neurotrasmettitori.

Alcune di queste sostanze vengono prodotte a livello gastrointestinale e giungono all’ ipotalamo, svelando il legame strettissimo che unisce stomaco e cervello.

Senza andare oltre, ti basta sapere che questo “meccanismo geniale” sottende alla sfera psicologica e come avrai certamente sentito anche quella affettiva.

Partendo dalla nascita non è forse vero che il bambino si nutre attraverso l’allattamento? Non è solo una metodologia per crescere sani, anche un feeling intimo che si crea tra la mamma e il figlio.

Stiamo palando di un processo emotivo che sta alla base del nutrimento e tutto questo processo ce lo portiamo avanti nella vita.

L’uomo è obbligato a mangiare per sopravvivere, stimolato dall’appetito e ricompensato col piacere.

Emozione e chimica sono in correlazione, si parlano. Da una parte mangiamo per nutrirci, dall’altra attiviamo i sensori delle emozioni che ci riportano inevitabilmente a seguire determinati comportamenti nella vita da adulti.

Nell’antica medicina greca, con il termine dieta si indicava il complesso delle norme di vita, tra cui: alimentazione, attività fisica, riposo e divertimento. L’ellenico modus vivendi mirava unicamente a custodire lo stato di salute. Salute intesa come percezione di benessere e non solo come assenza di malattia.

Solo ultimamente alla parola dieta abbiamo associato un’eccezione negativa. Dieta vuol dire restrizione, punizione, rinunce.

Cataloghiamo il cibo come nemico e altro come alleato, senza comprendere davvero perché questi concetti ci influenzano positivamente o meno. La pasta fa ingrassare, il latte fa male, il pomodoro è acido e così via. Abbiamo dato il via a un enorme processo di dimagrimento pensando che mangiare poco o niente faccia bene alla salute perché si perde peso.

Questo atteggiamento conduce inevitabilmente a vivere delle restrizioni che innescano seri danni alla sfera psichica, come la perdita di controllo, la colpevolizzazione e il fallimento.

Tutto parte da come ci si sente, psicologia e cibo si influenzano a vicenda.

Sono un esempio negativo di quanto il cibo spazzatura abbia influito durante un periodo in cui stavo male. Soffrivo per amore e il cibo, i dolci in particolare, erano diventati la mia valvola di sfogo.

Non volevo piacere più a nessuno, tanto meno a me stessa. Non mi sono perdonata il fatto di aver amato la persona sbagliata, di aver combattuto fino all’ultimo per un amore inesistente.

Quando ho avuto il coraggio di chiudere questa relazione mi sono lasciata andare, mi sono punita iniziando a ingoiare zuccheri fino a farmi male.

Avevo un disturbo alimentare che partiva da un’emozione negativa, ma niente e nessuno poteva farmi smettere.

Non ho chiesto aiuto finché il mio peso ha raggiunto gli 83.8 chili, avevo preso 20 chili in pochissimi anni. Mi sono fatta seguire da una nutrizionista che non mi molla un secondo e ce la sto facendo, ma ogni tanto è dura.

Col senno di poi mi mangerei le mani al posto di un’intera torta.

Oggi, nel processo del dimagrimento, mi sto impegnando, ma faccio ancora fatica a rientrare nei valori, che erano completamente sballati.

In un anno ho perso 10 chili e non è ancora finita. Sto bene e mi vedo persino bella, anche se devo smaltire ancora 10 chili di solitudine, disperazione, delusione e lacrime.

Ecco perché se pensi di avere un disturbo alimentare devi parlarne con qualcuno.

Ho scritto un articolo di una Psicofarm nata a Treviso, fanno un percorso di Psicologia e cucina che trovo molto interessante. Farò un week end da loro in luglio e poi vi dirò com’è andata.

Nel frattempo continuo con la mia dieta che non è costrizione e fallimento, ma un nuovo approccio con il cibo. Incredibile se penso che sono mesi che non tocco un dolce.

Si può fare e si può chiedere aiuto, fallo per te.

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